Robertsfors

quarantaduesima

Il freddo umido è ormai diventata una costante. Ti entra nelle ossa e non ti lascia più. Servirebbe un camino o una stufa, ma è un lusso che non possiedo, e la mia bicicletta non è certo dotata di un climatizzatore. Ogni tanto mi fermo lungo la strada in qualche fast food per scaldarmi e per ricaricare le batterie, esattamente come ho fatto questa mattina dopo aver smontato la tenda.  Parto tardi, anzi tardissimo. I chilometri che il clima di giorno mi concede ormai sono pochi, e cerco di farne il più possibile alla svelta. Umea è una città e senza avere una struttura d’appoggio non posso rimanere. In ogni caso sento la necessità di andare avanti, quindi con incoscienza monto in sella alle 14 e decido di mettermi in strada.

Le ore del pomeriggio scorrono tutte sulla E4. La pedalata è monotona, il paesaggio noioso. Ma tra me e gli alberi ci sono km di grate. Verso le 17 il piede destro comincia a ghiacciarsi, e mi obbliga diverse volte a stop forzati che hanno il preciso scopo di riattivare la circolazione. Arrivo nel villaggio di Robertfort alle 19, riesco ancora a comprare del cibo e decido di accamparmi in mezzo agli alberi ai margini di un campo da golf. E’ venerdì e alcuni ragazzi urlano nel parco simulando una partita di pallone calciando le lattine d birra vuote. Non è poi così perfetta questa Svezia. Un paese con un’architettura sociale da manuale ma con falle importanti nelle politiche giovanili. L’alcol è una questione di monopolio e non lo si può acquistare quasi da nessuna parte . Nei supermercati le birre sono per lo più analcoliche e la vendita dei liquori è vietata. Nonostante ciò il consumo di droghe e alcol è tra i più alti dell’Unione. Attendo che le urla svaniscano e mi addormento per 2 ore. Tra la tempesta di ieri e le urla di oggi sono due notti che vado quasi in bianco.

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