Härnösand

trentottesima

Venerdì ore 6.50

La colonna di mercurio registra 1 grado. Sono dentro il sacco a pelo e non ho voglia uscire, ma non sono proprio nel posto più indicato per campeggiare selvaggiamente. Mi faccio forza, esco e smonto tutto mentre è ancora bagnato. Sull’acqua si formano nuvole dovute al contrasto termico con aria. Il colpo d’occhio è davvero suggestivo. Alle 8.30 sono già in cerca del meccanico. Fa davvero freddo, ho le mani bagnate e si stanno congelando. Metto i guanti ma è tardi e la situazione non migliora. Il freddo è entrato nelle ossa e entrambe le mani rimangono intorpidite. Luis è un uomo cordiale, ha l’aria di saper fare il suo mestiere e condivide l’officina con un meccanico d’auto. È spagnolo, parla un pò italiano a causa di una ex fidanzata spezzina avuta in gioventù. E’ finito a Sundsvall per i casi della vita. Quelli che non puoi prevedere, che succedono e ti travolgono mentre nemmeno te ne accorgi. E’ davvero gentile e mi ripara i danni senza farmi aspettare. Ci mette impegno e cura, mi sistema il cambio che non lavorava bene da due settimane. Mi cambia entrambi i copertoni benché non fosse necessario perché il sistema di pompaggio dell’aria delle camere in Svezia è diverso da quello italiano. La spesa ammonta intorno ai 100 euro. Pace. Erano lavori da fare.

Alle 13 riparto verso Umea. Oggi sarà una tappa breve, fatta di salite corte ma ripide, di lussureggianti pini che svettano incuranti al mio passaggio. La Svezia è una terra fatta di fiabe che raccontano l’eterna lotta tra il bene e il male attraverso scontri tra esseri fantastici, in luoghi mozzafiato che fino ad ora ho solamente immaginato. Attraverso con la bicicletta terre dove l’immaginario diventa in parte reale e poi sconfina nuovamente nei sogni. Mi sforzo di vedere la forma di ciò che non ne ha, e sentirne la voce anche se questa non c’è. Sto attraversando un luogo di assoluto nulla, in cui forse si trova il Tutto. Forse è per questo che la mia anima non smette di cercare. Mi fermo ad Harnosand dopo 64 km. E’ tardi, ho tutti i dispositivi scarichi. Entro nel solito Mc Donald per ricaricare almeno il cellulare. Il Mc Donald è un non luogo, uno spazio fuori dal tempo, identico in ogni circostanza, in ogni angolo del pianeta. E’ uno spazio sospeso, alienante, in cui la standardizzazione dell’offerta è rassicurante. I colori sono i medesimi ad ogni meridiano. Entrare dà un senso di apparente benessere e di famigliarità.

E’ un luogo in cui le persone non s’incontrano mai, una terra di mezzo che mi accoglie in un momento di smarrimento ma che alla lunga mina il mio concetto di identità. E’ uno spazio senza respiro. Tra il Mc Donald e le persone al suo interno il rapporto è fatto di simboli e suoni registrati. Qui nessuno è davvero qualcuno. Tutto è un prodotto, e tutti sono consumatori. Si fa la fila, ci si fa identificare come utenti solvibili, si rifà la fila, si seguono le istruzioni, si mangia un panino con lo stesso sapore in tutto il mondo. E’ davvero assurdo! Almeno esco con la pancia piena.

Cerco e trovo un luogo incantevole in riva la mare. Un posto in cui d’estate la gente nuota, Eh si! Perché il mar Baltico non è come il mediterraneo, non è sicuro fare il bagno dappertutto. In ogni caso pianto la tenda in un terreno scosceso. Passo la notte arrampicandomi sul materassino per non scivolare, accamparsi così non è stata un grande idea. Verso le 5 della mattina il rumore dell’acqua cambia, diventa scrosciante. Cazzo la marea! Esco a controllare il livello. per fortuna non ho piantato la tenda proprio sulla riva. Torno a dormire ma rimango con gli occhi spalancati attendendo l’alba del nuovo giorno.

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